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IL SIGNIFICATO DEL CIBO NEL BAMBINO

CIBO BIMBI
L'atto del nutrirsi e dell'alimentarsi non è semplice soddisfazione di un bisogno biologico. Codificato, elaborato culturalmente, caricato di senso e di valori simbolici, è da subito soprattutto un atto sociale e di comunicazione, un atto razionale. Sin dalla prima infanzia, con la sua doppia connotazione d'informazione e di emozione, s'inscrive nel contesto relazionale e sociale dell'individuo. In altre parole, il cibo rende persone, sia sotto il profilo corporeo e materiale, sia sotto quello morale e spirituale. Nel nutrire il bambino, la mamma o chi per lei, gli insegna a prendere piacere dal cibo, prendere piacere dall'alimentarsi. Il cibo buono non solo soddisfa con piacere l'appetito, ma rinforza nel bambino l'immagine della mamma-buona: il benessere organico diventa un benessere relazionale. Benessere che è alla base di quel senso di fiducia sul quali si fonda la personalità e l'identità sociale. E' del rapporto che il bambino intrattiene con la mamma (o con chi svolge il ruolo di dispensatore di cibo) che egli impara il piacere o il dispiacere di stare al mondo e l'esercizio della propria affettività, dei sentimenti, delle emozioni, della sessualità. Dunque, il cibo non è soltanto buono da mangiare, ma anche da pensare, da immaginare, da fantasticare, è buono per avere relazioni sociali e per svilupparle. 
I cibi ed i comportamenti alimentari che si registrano nel tempo, traggono origine dal 'significato' che nelle varie fasi della vita viene dato all'azione del mangiare. Il cibo, è ormai riconosciuto, non ha solo un valore nutritivo, ma anche un valore psicologico e sociale. 
Quel che si mangia vuol dire non soltanto in modo concreto condizioni materiali ma anche elementi di affettività, di relazione umana. Il modo con cui affrontiamo il problema dell'alimentazione, ed in particolare le paure, sono insite e hanno origine nell'infanzia: il cibo fin dalla nascita assume un notevole significato che va oltre l'azione del mangiare; il neonato e poi il bambino 'sente' che le persone che si prendono cura di lui non sono indifferenti al cibo che assume e molto presto scopre che il suo modo di alimentarsi può diventare strumento di potere nei confronti degli adulti. La preoccupazione occulta o manifesta degli adulti (mamma, nonna, zia, ...) perchè il bambino mangia poco o troppo, la gioia perchè ha mangiato seguendo le regole che loro hanno fissato, sono le premesse per caricare l'alimentazione di un altro 'significato', quello affettivo-relazionale che si aggiunge al valore dietetico-nutrizionale. Il bambino che percepisce che il suo alimentarsi ha effetto sugli adulti utilizza il suo potere quando decide di dichiarare 'guerra' a chi gli sta accanto o vuole ottenere qualcosa. 
Questa può essere la genesi delle problematiche che investono l'alimentazione in cui essa non ha più solo significato di nutrire il corpo ma anche quella di stabilire un rapporto, una comunicazione. Questo fenomeno che ha inizio in una età molto precoce continua nell'età evolutiva e se i problemi relazionali, le comunicazioni non si risolvono, rimangono sotterranei, occulti, non dichiarati ed è possibile che si giunga a comportamenti alimentari scorretti. 
Dalla prima infanzia alla terza età, in tutti gli ambiti relazionali dell'esistenza - famiglia, coppia, amicizie, lavoro - il cibo va oltre la sua mera funzione di nutrimento del corpo per diventare anche nutrimento dell'anima. 
Il rapporto che il bambino ha con il cibo dipende spesso dal rapporto che la madre ha con il mangiare. Una madre equilibrata non deve fare della quantità di cibo mangiata dal figlio il parametro sul quale misurare le proprie capacità di mamma. 

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